Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.

(Calvino)"

lunedì 14 gennaio 2013

Persio

Aulo Persio Flacco nacque a Volterra nel 34 d.C. Di ricca famiglia equestre, studiò a Roma e fu allievo, come Lucano, di Anneo Cornuto, cui fu molto legato. Morì prematuramente nel 62 e fu Cornuto a pubblicare postume le sue opere, che ottennero successo.

Persio scrisse:
-6 satire
-un componimento in coliambi, trimetri giambici zoppi, in cui parla della sua poesia.

LE SATIRE
La prima satira è significativa per comprendere i suoi precetti di poetica. Persio si scaglia violentemente contro quoei prodotti culturali che andavano per la maggiore alla sua epoca, in particolare le recitationes. Denuncia che alla sua epoca prevale una poesia bassa ed effeminata, volgarmente edonistica e finalizzata solo all’intrattenimento, del tutto priva di spessore morale; lo stile è spesso aulico e prezioso, ma ciò non basta a colmare la vanità dei contenuti; anzi, la bella forma non è altro che una maschera per la totale vuotezza. A sostegno di tale tesi cita, deprecandoli, versi che i commentatori antichi attribuivabno a Nerone, paternità non suscettibile a ulteriore verifica, ma alcune fonti sembrano confermare che lo stile poetico dell’imperatore fosse in effetti improntato a tutti questi disvalori e abberrazioni della cultura moderna. Persio non accetta una poesia in cui la raffinatezza sia fine solo a se stessa (una soluzione opposta al precetto tardo ottocentesco di ”Art 4 Art’s sake”).

La poesia per Persio deve trattare del VERUM, concetto che lo avvicina molto a Lucilio e Orazio, nei quali egli ravvisa due modelli da imitare e la rappresentazione emblematica di due diversi atteggiamenti tipici della satira, nell’uno l’atteggiamento aggressivo del severo moralista, nell’altro na tendenza moralizzatrice più bonaria. Ed effettivamente egli ripropose anche diversi temi tipici della statira luciliana e oraziana nonchè moduli della satira tradizionale: l’epistola poetica e il componimento dedicato che sviluppa la sua argomentazione su una particolare tematica. In realtà però caratteristica dello stile di Persio è una trattazione non del tutto organica e sistematica, con trapassi improvvisi e bruschi, collegamenti sottointesi che il lettore deve ricostruire, immagini che sisusseguono con efficacia per affinità, con esempi, scenette, aneddoti, interventi di interlocutori fittizi che appaiono copiosi a aspezzare il ritmo, variarlo, complicarlo.

Come essi, inoltre, egli sceglie di utilizzare il SERMO, uno stile urbano, quindi, non elevato e aulico ma neppure sciatto. Il linguaggio adottato da Persio è però particolarissimo e inconfondibile: esso spazia ad ampio raggio dal linguaggio colloquiale, ricco di espressioni gergali e grecismi e lascia spazio al termine più volgare, al linguaggio preletterario con onomatopee e versi infantili. Inoltre appaiono molti neologismi, i quali sono una delle espressione più evidenti della tendenza di Persio a rimaneggiare gli strumenti lingiustici e la tradizione a essi connessa. Il procedimento principale che caratterizza la sua produzione è la IUNCTURA ACRIS che rimanda chiaramente ell’idea di Orazio di callida iunctura; è il poeta stesso a definirsi, all’inizio della satira 5° callidus iunctura acri. Esso consta nell’accostamento di termini in apparenza lontani per creare un’associazione imprevista, capace di stupire il lettore perchè mette in luce collegamenti impensabili secondo una fittissima trama di significati figurati che potenzia l’espressività della parola (una soluzione che molto ricordo la ricerca della letteratura barocca, volta a stupire e beravigliare il lettore e anche le corrispondenze che vengono messe in luce dal Decadentismo e che proseguono nella letteratura moderna) come la saliva Mercurialis, l’”acquolina di Mercurio” ossia l’acquolina dovuta all’avidità di gudagno. Pertanto, al di là dell’adesione al sermo, egli va oltre di esso, lo supera.

Ciò che più spesso diviene oggetto della satira è il costume, sono iMORES, qiundi la vita quotidiana e i comportamenti umani, da criticare in quanto corrotti. Per colpirli più a fondo utilizza l’INGENUUS LUSUS, lo scherzo non volgare, che sottolinea l’importanza dello spirito nella satira di Persio che si affianca all’impostazione moralistica.

2. La 2° satira tratta il tema della religione, il culto e le preghiere oneste, cui si affiancano preghiere empie e superstiziose che Persio condanna.

3. La 3° satira presenta una vicenda di sapore pariniano, in quanto offre un quadretto satirico della vita al contrario di un “giovin signore”, che non dedica il suo tempo allo studio ma al piacere e dorme fino a tardi al mattino per smaltire la sbornia della notte precedente. Persio sostiene l’importanza di un’educazione fondata su sani valori stoici. La seconda parte della satira tratta del male morale e presenta, con un certo gusto per il macabro e un carattere espressonistico tipico dell’epoca (cfr. già Seneca), il caso di un raffinato che muore di congestione al bagno pubblico senza rendersi conto del rischio che corre per la sua ingordigia.

4. La 4° satira presenta il motivo tipico del “conosci te stesso“: tutti sono prontissimi a criticare gli alti, ma ben pochi si volgono a conoscere se stessi. La corruzione è in una metafora da Persio somatizzata in una ferita coperta da una cinta d’oro che rappresenta l’ipocrisia che permette di avere una parvenza di onestà, apparenza che può ingannare glie estranei ma non la coscienza dell’individuo in realtà.

5. La 5° satira si apre con una sezione letteraria in cui Anneo Cornuto, il dedicatario, enuncia il precetto del poetacallidus iunctura acris. Persio elogia Cornuto per essergli stato amico e per il merito di aver insegnato ai giovani la folosofia stoica come a lui. Poi presenta l’idea di libertas come possibilità di vivere secondo ragione, per cui anche chi è giuridicamente libero può essere schiavo, perchè dominato dalle passioni, soprattutto avaritia e luxuria.

6. La 6° satira è un’epistola diretta ad un amico che permette a Persio di intridurre il tema della metriotes.

Fonte: OPERA, Giovanna Garbarino, Paravia

L'approccio alla traduzione- come tradurre

Come tradurre questa frase dal latino?

Questa è la domanda fatale, finale, fatidica, la domanda che a seconda della risposta corretta o sbagliata cui vi si trova può determinare la compromissione di una intera versione.
Un 21/12/2012 Maya, il terrore stile anno 1000, un'ecatombe della propria media in latino.
Detto ciò, una cosa è ovvia: se una frase non ci viene è perchè la stiamo analizzando nel modo sbagliato.

Come tradurre allora nel modo corretto?
Le strategie per approcciarsi alla traduzione non sono univoche, ognuno ha le sue preferenze soggettive, ed è giusto. Tuttavia esistono un paio di regolette, strategie e trucchetti che ci possono aiutare a non prendere fischi per fiaschi.

Tradurre dal latino presenta due difficoltà:
1- capire il messaggio che una frase ci vuole comunicare
2- passare il messaggio in un'altra lingua che verosimilmente avrà caratteristiche del tutto diverse.
Capire questo doppio passaggio non è scontato nè così immediato. Però è molto importante.
Anzitutto ci fa comprendere che non sempre fare la cosiddetta "traduzione letterale" è possibile, perchè un costrutto che rende significato in latino può non darlo in un'altra lingua, che deve adattarsi secondo le proprie modalità espressive logico-grammaticali (il più possibile però mantenendo inalterata in traduzione la struttura della frase di partenza; e da qua nasce il problema di quanto ci si possa staccare dalla traduzione letterale e sforare nella libera).
Seconda cosa, ci fa capire che prima vale la pena di comprendere che cosa i Romani ci volevano dire e solo dopo tradurre in italiano. Tentare di fare le due cose a tempo spesso è controproducente, addirittura fuorviante. Sbagliare nell'uno o nell'altro passaggio è ugualmente controproducente perchè o ci fa dare un senso che in latino non c'era -perchè si è frainteso o "suonava bene" oppure ci fa creare frasi in un italiano poco corretto.
Il motivo di ciò ce lo da il terzo e ultimo punto: la conoscenza della grammatica o meglio DELLE GRAMMATICHE, quella latina e quella italiana (o quella che preferite), infatti, è essenziale per l'analisi logica  ( che indica complementi, apposizioni, ecc), per l'analisi del periodo ( quella che individua principale, reggenti, subordinate,...) e grammaticale  (vi ricordate quelle cose tipo "Mangio: prima persona singolare del verbo mangiare, indicativo presente attivo"; oppure "casa: nome comune di cosa, femminile singolare") che stanno alla base della lingua stessa come mattoni relazionali costitutivi; sapere termini tecnici e definizioni + buona cosa all'interno di una lingua ma queste nozioni diventano tanto più importanti all'atto della conversione da lingue dove due strutture più o meno diverse sono messe a confronto. Per la traduzione latino-italiano siamo facilitati perchè, per ovvie ragioni, essendo l'italiano tutto sommato una evoluzione del latino, le due lingue hanno struttura funzionale simile (simili complementi, simili subordinate, ecc). Per questo è possibile comparare pressocchè direttamente le due analisi logiche e grammaticali e rispondere a domande come "Come si esprime il complemento di fine in latino?" Certo se non si sa che cos'è un complemento di fine e addirittura che in italiano esiste con tutta una sua casistica espressiva....non ci sono mezzi termini: non si può tradurre dal latino. Sennò magari si identifica che quello strano costrutto è ciò che corrisponde al mirabolante nome di -che ne so- subordinata concessiva, ma in italiano non si sa come renderla in analogo. E' importante insomma conoscere la grammatica della lingua di partenza ma anche-se non soprattutto- quella d'arrivo.
Quindi, all'atto dello studio, prima è bene imparare come una determinata parte del discorso si chiama e si esprime in italiano, poi aggiungere a questa nozione il nome della corrispondente funzione in latino e come essa si esprima. In teoria i professori di italiano dovrebbero insegnarci sin dalle elementari elementi di analisi logica e grammaticale italiana, ma noto con dispiacere che soprattutto di recente queste cose sono state insegnate  -se sono state insegnate- male e con un approccio del tutto mnemonico. Avere ben chiaro come si costruisce la sintassi di una frase (questo è il nome tecnico delle relazioni tra parole), invece, è fondamentale per poter dire di saper usare la propria lingua. Facendo ciò si verrà a creare in automatico una rete relazionale tra le due lingue che vi permetterà di ricondurre facilmente un modo di esprimersi all'altro, della serie accusaivo semplice=complemento oggetto (di base). Solo sapendo la lingua propria di partenza (che è verosimilmente quella in cui si traduce) si può capire bene il latino. Capite che se un italiano dovesse tradurre latino in inglese probabilmente sarebbe costretto alla doppia conversione latino->italiano->inglese se non avesse a disposizione le cosiddette categorie grammaticali per conversioni quasi immediate.
E secondariamente, fidatevi: un minimo di bagaglio nozionistico sui tecnicismi spesso aiuta a ridurre di un decimo le definizioni di certe regole grammaticali. Sembra assurdo e difficile dover imparare normi astrusi, inutile alla lunga perchè si tratta solo di dare semplici etichette a concetti che si sanno riconoscere nella loro applicazione. Ma capite che tra ricordare una regola come "I tempi storici usano una consecutio temporum con congiuntivo pf., ppf,  parifrastica attiva + essem"  e ricordare "la consecutio teporum con pf., ppf,  parifrastica attiva + essem si ha in dipendenza una reggente all'indicativo impf., pf., ppf.,..." è molto più facile la prima:  basta una espressione, "tempi storici" per ridurre notevolmente gli elenchi di una regola, ad esempio.
Quindi il primo passo per tradurre il latino parte ancora prima che dal foglio con la versione: parte dallo studio, che deve essere sistematico e contare sulla perfetta conoscenza dell'apparato strutturale delle due lingue di interesse.

Che poi a loro volta le modalità espressive della lingua latina in merito a quella determinata categoria vadano sapute è certo: se so cosa è un complemento di fine ma mi ricordo solo un modo su 5 di esprimerlo sono fritta/o perchè nel 99% dei casi il testo latino avrà proprio l'espressione che non ci ricordiamo XD. Certe cose ce le può dire anche il dizionario, è vero (tipo i costrutti verbali, ovverosia che casi regge un verbo) ma esso non ci può dire tutto e certamente non ci dice come si costruisce l'analisi logica di TUTTA UNA FRASE INTERA ( A meno che il dizionario non ti traduca esattamente quel pezzo di versione che hai davanti; e lì è culo! XD) oppure quali sono tutti i modi per esprimere, ad esempio, il complemento e d'età...e se non li ricordiamo tutti magari, proprio quando ci  compare davanti, non siamo in grado di riconoscerlo.

Tutto ciò ci spiega anche che il dizionario è solo uno strumento e come tale va usato, non come se solo con esso a fianco fosse possibile capire il latino. La mia prof ci parlava spesso della ansia da dizionario: si tratta di quella patologia che porta allo scartabellare febbrile tra le pagine dell'IL (o di qualunque dizionario latino) che comincia sin da subito non appena ci si trova il foglio della versione davanti.
STRATEGIA SBAGLIATA!
E per dimostrarcelo la professoressa al liceo ci obbligava a tradurre un'ora senza dizionario e solo dopo potevamo usarlo. Inutile sadismo? No. Come era possibile che riuscissimo? In base a quello che dicevo prima: anzitutto dobbiamo capire come si monta la frase in latino, poi capire che vuol dire e solo dopo tradurre.

Ma se non si conoscono le parole, direte, come si fa a capire quali elementi si accordano? Qua casca l'asino e si capisce che la maggior parte delle volte sbagliamo a tradurre proprio per via dell'approccio al testo.
La spiegazione è semplice: spesso ci dimentichiamo che il latino non è altro che una lingua, non una serie di codici astrusi che necessitano di calcoli logaritmici di decrittazione.
La prima cosa dunque è RAGIONARE. Sembra una sciocchezza, ma quel frusciare terrorizzato è il primo sintomo che si sta agendo meccanicamente senza far girare le rotelline del cervello.
Ragionare non vuol dire raccattare pezzi di puzzle di diverso significato (le parole) sul dizionario (molto spesso peraltro dopo aver individuato pressocchè a caso il vocabolo perchè non ci si era manco dati peso di decidere se cercare un verbo o un nome) e unirli a caso, a volte confondendo le categorie grammaticali (aggettivo, sostantivo, predicato) o attaccando aggettivi a nomi solo "perchè a senso ci stanno bene". Se fosse sufficiente tradurre parola per parola e fare un collage a senso basterebbe trovare tutti i significati delle parole latine per poter tradurre correttamente.
Sarebbe bello (forse) ma non è così che funzionano le cose: è sulla base dell'accordo grammaticale che si costruisce la frase ma l'accordo grammaticale a volte esula dalla concordanza dei significati più comuni.
 Quello che bisogna fare quindi  è eseguire l'analisi grammaticale delle singole parole per poi passare alla analisi logica di esse, sino a costruire la struttura del periodo attraverso l'accordo grammaticale degli elementi e il riconoscimento delle funzioni di significato dei singoli blocchi.

E per tradurre senza dizionario cartaceo non serve averne uno completo in testa. Non è una cosa fattibile, anzitutto: nessuno ha un cervello così potente da avere un intero dizionario e soprattutto mai nessun dizionario sarà così completo da potervi dare tutto il range di significati che una parola può assumere, perchè la lingua si adatta ai contesti e muta il significato di una parola per esprimere di volta in volta concetti sempre leggermente diversi. Ora non sto dicendo che il dizionario non serva, sto dicendo che serve solo dopo Sfatiamo quindi un mito: non serve avere un dizionario in testa per analizzare il latino; il latino grazie alle sue desinenze rende facile riconoscere un verbo da un sostantivo, da una congiunzione o un avverbio e può permettervi di cosa inequivocabilmente va con questo o quell'elemento. Il dizionario vi servirà solo per le radici, molte delle quali è ovvio non le conoscerete ( ma notate, molte sì: se dopo due anni di latino ancora non sapete almeno un significato di un verbo come puto la situazione è grave). Quello che dovete fare quindi è imparare ad analizzare una frase sulla base delle informazioni grammaticali che le diverse parole vi danno e solo dopo costruire il senso compiuto di esse. Se fate il contrario, finirete per accordare le cose a senso, ignorando bellamente gli indizi grammaticali che il latino vi mette a disposizione per capire davvero il contenuto, ossia i casi e le terminazioni di coniugazione verbale. E' questo senso grammaticale la cosa che per prima va ricostruito per capire chi va con cosa...e in ultima battuta quale sia il significato di quella unione

Di fronte al foglio la prima cosa da fare dunque è leggere il testo tutto per intero. Magari non ci capirete nulla di quello che c'è scritto, ma intanto comincerete a inquadrare le parole più comuni, che caso hanno, cosa è verbo e cosa è aggettivo, già individuerete quei vocaboli che mai in vita vostra avete sentito (abbozzerete una analisi grammaticale quindi); e magari nel vostro cervello già cominceranno a formarsi ipotesi di concordanze, rapporti di subordinazioni-coordinazione e pause interne alla frase (che è per l'appunto l'analisi logica e del periodo). Sembra superfluo visto che ci ragionerete dopo, ma non lo è. Anzi, col tempo imparerete che la prima lettura è fondamentale per inquadrare il brano, la sua difficoltà e soprattutto i punti in cui prevedere bisognerà fare parecchia attenzione.Quindi dopo aver letto tutto una o due volte e aver fatto i primi ragionamenti, che poi sono naturali per il cervello, alla lettura, anche  molto alla veloce, possiamo passare  all'analisi frase per frase con i criteri suddetti di analisi grammaticale-logica-del periodo.

-Individuiamo anzitutto i verbi e le congiunzioni, il primo passo per stabilire coordinate e subordinate.
-Dei verbi tentiamo di capire quali sono nelle principali, poi in base alle congiunzioni soprattutto individuiamo subordinate e coordinate.
-Fatto ciò passiamo a definire il limite delle proposizioni e dire quali complementi stanno con ciascun verbo.
-Per ciascun complemento vediamo  di capire da che categorie grammaticali è costituito, se è costituito da un nome, o da un verbo/aggettivo in funzione nominale, se ha attributi o apposizioni.

Possiamo disegnare queste relazioni con uno schema ad albero come quelli che sicuramente a tutti hanno fatto fare pe l'analisi del periodo in italiano. Quello che otterremo è un disegno della nostra frase che ci permetterà di tradurre senza fare confusione e con maggiore semplicità, con la certezza di avere  valutato attentamente ogni elemento.

Sembra tempo sprecato: in realtà non è così. Questo è il ragionamento da fare per ogni frase, semplice o complessa. Il meccanismo dovrebbe entrare in voi con la pratica e laiutarvi a creare questa mappa anche solo mentalmente. Dovreste a questo punto trovarvi ad avere analizzato così bene da limitarvi a usare il dizionario per controllare le vostre ipotesi e dare -finalmente- senso fattivo alla frase in teoria costruita. Quella sarà la riprova: se il senso che uscirà accostando i significati vi smentirà, avrete la quasi certezza che qualcosa nella analisi è sbagliata, ma il sistema ad albero vi renderò più facile individuare le possibili soluzioni alternative. Ecco cosa significano frasi come "il latino è l'unica operazione veramente matematica che i giovani eseguono a scuola"; tradotto così, in effetti, il latino è una precisa applicazione del metodo galileiano.Però attenzione: a volte l'analisi che facciamo è giusta e solo il senso ci sfugge, quindi attenzione a non correggere cose giuste ma un po' oscure solo per dargli "maggior senso".


Molti mi potrebbero dire: ma scusa, se alla fine quello che facciamo è vedere se quello che abbiamo ricostruito ci dà senso, non facciamo prima a combinare da subito i significati del dizionario? Da tutto ciò che ho detto dovrebbe essere chiaro che non è così, perchè montare a senso una frase molto spesso vuol dire fraintendere i collegamenti del testo...e quindi sì, si scrivono frasi con un significato, che non c'entra nulla con il senso originale del testo. Chi traduce così finisce per scriver belle storielle e belle frasi che inventa lui perchè l'autore aveva scritto tutt'altro.

Certamente poi lo sappiamo bene, due traduzioni posso essere corrette entrambe ma una molto più bella dell'altra. Quella è però una questione di stile, di eleganza del tradurre, di una migliore proprietà nell'usare le parole e nel rendere il senso che il testo in lingua voleva trasmettere. Purtroppo queste sono caratteristiche che si acquisiscono solo col tempo e con la pratica, nonchè con una buona dose di innata sensibilità e predisposizione personale. Ma tradurre correttamente questo lo possono fare tutti, perchè si tratta di un mero gioco di meccanica applicata tramite ragionamento. Questo sito non vuole insegnarvi l'impossibile-sebbene qualche dritta cercherò di darvela anche in questo senso- ma fidatevi che anche uno schiavo senza cultura avrebbe potuto costruire la frase di un Cicerone che parlava di filosofia. Magari non avrebbe capito un h del senso, ma intanto avrebbe unito i complementi nella giusta maniera. Esattamente come io non capirei nulla se un fisico mi parlasse di quanti e particelle, ma almeno saprei capire cosa in quella frase era il soggetto, il verbo, il complemento oggetto,...Questo è il requisito base per prendere un bel 6: capire la struttura dei periodi. Il contenuto purtroppo si può sempre fraintendere e può farlo anche uno che prende 10...o altrimenti tradurre sarebbe cosa immediata. Senso della struttura e senso delle parole stanno su due piani diversi: sintassi e semantica lessicale.

Voglio dirvi questo in conclusione: che il latino per quanto assurdo vi possa sembrare era una lingua davvero parlata. E per quanto scrivere non è mai come parlare (neanche in italiano e così vale per il latino, perchè nello scrivere si è più arzigogolati e pomposi)  la lingua dei romani non è più complessa o difficile di altre, è solo un differente sistema per esprimersi. Analfabeti e persone alfabetizzate si capivano senza che gli analfabeti manco sapessero cosa fosse il complemento oggetto! E vi sorprenderà sapere che alla definizione di tutti i concetti grammaticali gli studiosi di lingua ci sono arrivati ben dopo i primi parlanti...Noi non possiamo imparare così semplicemente per un semplice motivo: loro avevano 24/24 per capire che l'infinito di sum è esse e non sumere  esattamente come voi avete avuto la vostra infanzia per capire che l'infinito di "vado" è "andare" non "vadare" o che so io. Ma una volta compreso il meccanismo del latino è un gioco davvero da...analfabeti! Quindi: come ce l'hanno fatta gli antichi, ce la farete anche voi ad imparare. E vedrete che col tempo, addirittura, forse sarà proprio la lettura fatta da voi a darvi la prima indicazione su come procedere per analizzare. Inoltre ricordate una cosa: in base a come leggete il latino, a dove mettete le pause e gli accenti, chi vi ascolta e sa il latino già comprende se voi alla lettura state capendo quello che state leggendo.

Che dire dunque: buona lettura e buona traduzione.
Valete!