Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.

(Calvino)"

mercoledì 13 marzo 2013

Animali

ANIMALI
Specie

I
avicula, -ae: uccellino
capella, -ae: capretta
capra, -ae: capra
equa, -ae: cavalla
gallina, -ae: gallina
musca,-ae
rana, -ae: rana
scrofa, -ae: scrofa
vacca, -ae: vacca
vespa,-ae: vespa
vipera, -ae: vipera

II
equus, -i: cavallo

III
avis, is: uccello

Caratteristiche

I
cauda, -ae: coda
lana, -ae: lana
lingua, -ae: lingua
mamma, -ae: mammella
saeta, -ae: setola


mercoledì 6 marzo 2013

La struttura della frase: il concetto di caso e l'ordine sintattico

Ogni frase di una lingua si costituisce tramite l'insieme delle parole che la compongono. L'ordine delle parole non è sempre del tutto casule, bensì risponde a criteri grammaticali più o meno vincolanti a seconda delle caratteristiche della lingua stessa: la sintassi. Il modo in cui, in questo contesto, una lingua può mutare d'ordine può determinare risultati differenti, dalla comunicazione di particolari sfumature di significato alla creazione di stringhe di parole del tutto senza senso.

Belle, frasi, ricche di paroloni.....ma cosa vuol dire tutto ciò?
C'è un aspetto che caratterizza ogni lingua e che può essere svolto in maniera diversa a seconda dei diversi idiomi: ogni lingua può avere una mobilità più o meno elevata delle parole all'interno della frase.

La mobilità si esprime in tanti fattori: può lasciare sottintesi alcuni elementi e non altri, può consentire di spostare prima o dopo elementi lessicali, può variare secondo schemi non rigidi  senza che cambi il significato della frase.

In Italiano ad esempio posso dire:
-"Lo ha visto"---> capiamo subito che il sogg. è una III pers. sing. perchè ce lo dice il verbo
-"Quella casa è bella" ma anche "è bella quella casa" perchè mettere il soggetto prima o dopo non  pregiudica la riconoscibilità del senso del verbo.

L'italiano quindi ha una certa mobilità, che però è inferiore a quella del latino.
Questo esempio può chiarificare la questione:
"Marco mangia la torta."
"La torta mangia Marco."
E' chiaro che la frase non è la stessa. La seconda frase non rende senso (e vorrei ben vedere: neanche in un film horror potrebbe capitare una roba del genere!).
Questo succede perchè in italiano una proprietà come la funzione di complemento è espressa (da alcuni di essi) proprio attraverso la collocazione che hanno nella frase, che di conseguenza diventa fissa. In italiano abbiamo così per il caso del c. ogg, una struttura definita che deve essere soggetto+ verbo transitivo+ compl. ogg.
Solo la prima frase, che rispetta questo ordine, può avere senso; la seconda può (almeno in questo caso, perchè è intuitivo, ma non è sempre così) essere riaggiustata, ma solo invertendo la struttura (sostituendo l'anomala forma oggetto+ verbo transitivo+ soggetto). Certo, frasi del genere si trovano nella nostra lingua, ma sono caratterizzate da particolari significati trasmessi dall'inflessione della voce. Se la mamma urla "La torta, pastasciutta sta mangiando marco, mica la minestra!" fa sì che l'attenzione dell'emittente e del destinatario si concentrino sulla torta perchè quello è l'elemento più importante di tutta la frase. Il senso è chiaro: Marco sta facendo qualcosa che non va con quella torta ed è la torta l'oggetto galeotto! Non stentiamo a immaginare la madre di Marco usare un particolare tono di voce che indugia su quella parola "torta", un tono a metà tra l'ironico e l'irato, ma percepiamo anche la pausa tra quella stessa parola e il resto della frase. La stessa pausa che la pratica scrittoria sottolinea con una virgola, proprio a marcare l'anomalia sintattica della frase: quella virgola, quella pausa, sono come dei segnali di stop che ti avvertono di stare attento a come interpreti la frase perchè il complemento oggetto è dislocato; ma se si riconosce questa proprietà l'effetto di resa è indubbiamente maggiore: tra "Marco mangia la torta" e "La  torta, mangia Marco" è sicuramente più efficace la seconda, no? (Io me la vedo la mamma di Marco, che gli compare da dietro e lo coglie in flagrante mente si abbuffa di dolce dopo aver rifiutato categoricamente di mangiare la minestrina XD)

Ritornando seri, l'italiano non è una lingua poi in assoluto così vincolata perchè molti complementi (ma vale anche per le subordinate! Nell'esempio dopo userò tutte e due per farvi vedere) si possono spostare a piacimento.
"[Domani][ Carla laverà la macchina][ poichè la pioggia degli ultimi giorni l'ha imbrattata di macchie rossicce]"
può essere rimontata in più modi.
-"[Poichè la pioggia degli ultimi giorni l'ha imbrattata di macchie rossicce], [Carla laverà la macchina] [domani ]
-"[Domani], [poichè la pioggia degli ultimi giorni l'ha imbrattata di macchie rossicce], [Carla laverà la macchina]"
-"[Carla laverà la macchina] [domani], [poichè la pioggia degli ultimi giorni l'ha imbrattata di macchie rossicce]"
Potremmo andare avanti ancora, ma fermiamoci qua.
Il senso è chiaro:
-l'importante è non sciogliere i sintagmi che formano il complemento, inserendo o spostandovi elementi (del tipo "[Carla laverà la macchina], [poichè [domani] la pioggia degli ultimi giorni l'ha imbrattata di macchie rossicce"])
-il verbo transitivo deve sempre avere sogg. e c.ogg come sopra descritto ma i complementi di tempo e la subordinata di causa possono essere messi prima o dopo gli altri indifferentemente.

E il latino? Ha questi vincoli?
Il latino è molto più libero di disporre le parole all'interno di una frase e questo grazie all'esistenza dei casi. I casi, cioè le terminazioni di una parola, ci indicano che funzione in senso sintattico può avere quella parola nella frase, indifferentemente dalla collocazione della parola stessa all'interno del periodo.
Ogni parola cambia la sua desinenza secondo modelli prestabiliti, le DECLINAZIONI, che presentano terminazioni diverse per ciascun caso.
In latino esistono 6 casi, nelle variabili (non sempre presenti di masch./femm./neutro e sing./plu) cui corrispondono dei significti base:
NOMINATIVO: soggetto
GENITIVO: c. specificazione
DATIVO: c. termine
ACCUSATIVO: c. oggetto
VOCATIVO: c.vocazione
ABLATIVO: complementi vari (non mi sbilancio, e capirete presto perchè)
E' chiaro che questi casi non esauriscono il numero di complementi espressi dalla lingua latina (sono gli stessi dell'italiano essenzialmente). Per questo la lingua adotta delle preposizioni che con un caso fisso esprimono un senso determinato. Ad esempio in+ablativo= stato in luogo, ex+ablativo= moto da luogo,ecc. I casi possono combinarsi con diverse preposizioni dando complementi in genere diversi (è il caso dell'ablativo appena visto, che con due preposizione diverse dà due sensi diversi) ma è anche vero che uno stesso complemento può esprimersi con più associazioni di caso e preposizione (tant'è che a/ab+ablativo è uguale a e/ex/de+abl.)
Tradurre latino si basa sulla capacità di riconoscere quale complemento viene espresso da questi casi, anche uniti  alle preposizioni (quando esse sono presenti). Non è uno sforzo mnemonico maggiore di quello che si fa in italiano per ricordare che ogni complemento si esprime in determinate maniere, che sono solo quelle; certo bisogna sapere le variabili di 5 declinazioni. Al contrario, però, essendo il senso del complemento già dato dalle parole stesse, in un certo qual modo "intrinseco", la parola nella frase può essere posta molto più liberamente perchè in pratica indifferente.
Quindi Ancilla prima salutat matronam cotidie cur officium suum est dominam onorare
"L'ancella saluta per prima la matrona quotidianamente perchè è suo dovere onorare la padrona"
è uguale a  Matronam prima salutat ancilla cotidie cur officium suum est dominam onorare dove soggetto e oggetto hanno posto invertito. Matronam finisce sempre in -am quindi non può che essere in accusativo e quindi deve essere complemento oggetto, ancilla finisce in -a e non può che essere il soggetto perchè è in caso nominativo. Non si potrà tradurre la frase "La matrona saluta per prima l'ancella [...]" a meno di sostituire i casi, quindi, indipendentemente dall'ordine che le parole finiranno per avere.

C'è comunque un limite agli spostamenti anche in latino. In genere i sintagmi vanno rispettati (tranne in casi particolari di cui parleremo diffusamente: fenomeni di attrazione e inclusione tra principali e subordinate per esempio per i pronomi che per il momento potete anche dimenticare). Quindi non renderà lo stesso senso Ancilla prima salutat cotidie cur officium suum est dominam matronam onorare perchè matronam è stato spostato nella subordinata mentre era nella principale. In questo caso il senso è simile ma il concetto è chiaro: lo spostamento può avvenire all'interno del contesto della proposizione principale o subordinata, non tra di esse.
In cotidie foro Cicero ambulat sarebbe "Nel tutti i giorni foro Cicerone cammina" il che non ha palesemente senso perchè cotidie andrebbe ad interrompere il sintagma in+foro.
Diverso il caso della tmesi ma anche di questo possiamo fare a meno di parlare ora.

Il punto da capire è questo: il caso indica la funzione sintattica non la posizione all'interno della frase.

Certo comunque i Romani non mettevano le parole a caso e una certa regolarità la si ritrova nella loro sintassi. Ma entro certi livelli: dopo un certo livello si entra in mere questioni di stile e generalizzazioni, o peggio, normativismi sarebbero assai controproducenti.
In genere possiamo dire che:
-il verbo sta alla fine della frase
-il soggetto sta tra le prime parole
-il complemento oggetto sta tra soggetto e verbo
-se c'è una coordinazione con la frase precedente essa sta all'inizio
-l'aggettivo tende a precedere il sostantivo di riferimento

Detto ciò è tutto opinabile perchè in moltissime frasi il soggetto è al cento o alla fine, il verbo all'inizio o nel mezzo, il sostantivo può precedere l'aggettivo e nulla vieta all'accusativo di essere l'ultima parola della frase.
Per esempio il complemento di modo in cum+abl se accompagnato da un aggettivo dovrebbe vedere il cum interposto tra agg. e sost. come in magno cum gaudio, ma cum magno gaudio lo si trova ugualmente

Per questo è tanto più importante analizzare i casi e non parola per parola una dopo l'altra, perchè a causa di queste oscillazioni si otterrebbe solo un puzzle difficile da ricomporre; ogni pezzo di puzzle può essere una cosa sola- e la forma e il colore te lo dicono immediatamente- ma a priori, preso da sè potrebbe essere interpretato in varie maniere come un pezzettino blu che potrebbe appartenere al cielo quanto al mare; solo il contesto generale ti permette di capire quale sia l'interpretazione giusta; quindi non analizzare il caso vuol dire  trovarsi ad appiccicare la funzione sintattica a senso come quando a forza si fa entrare una tesserina del puzzle in un buco troppo grande o si cerca invano di farla entrare in uno piccolo. Può o non può reggere ma è comunque sbagliata.

Detto ciò, adesso una curiosità: prima mi sono rifiutata di attribuire un significato base all'ablativo. Il motivo è che essenzialmente è il caso con più significati da solo e in concordanza con preposizioni, quindi sarebbe pretenzioso identificare il vero significato di base.

venerdì 8 febbraio 2013

La combinazione dei tempi: la consecutio temporum

Una delle domande più temute dagli studenti è cosa sia questa fantomatica CONSECUTIO TEMPORUM. Fa paura solo il nome, è vero.  Fa pensare a chissà quale astrusa proprietà latina...Quando poi si è di fronte alla lavagna e la consecutio ti si chiede di applicarla...ti farebbe venire voglia di picchiare i monaci medievali che l'hanno studiata e regolamentata...o forse è meglio ringraziarli?

In realtà la consecutio temporum non è nulla di strano: si tratta semplicemente della concordanza dei tempi dei verbi tra subordinate al congiuntivo e reggenti, appunto la consecutio=successione temporum=dei tempi.
I verbi delle subordinate e della reggente si susseguono infatti secondo regole ben precise (come in italiano, del resto), a seconda del rapporto di tempo che esprimono reciprocamente.

A questo proposito è giusto notare che:
a-Il congiuntivo è il modo usato sempre per esprimere la consecutio temporum. Ciò non vuol dire che tutte le subordinate abbiano il congiuntivo come verbo: certe subordinate hanno il verbo espresso all'indicativo, ma la consecutio temporum regola solo le subordinate che usano il congiuntivo come verbo di default (per i congiuntivi usati in subordinate che dovrebbero avere l'indicativo dedicherò un altro articolo- sì perchè purtoppo può capitare che subordinate che di norma hanno l'indicativo invece abbiamo il congiuntivo, mi dispiace XD).

b- Il latino ha la tendenza a modellare il verbo della subordinata in base a quello della sovraordinata reggente. In pratica se ho una principale e due subordinate l'una dipendente dall'altra, la prima subordinata modellerà il verbo a partire dalla principale reggente, ma la seconda subordinata si regola sulla base della prima subordinata (il che, si vedrà più avanti, può fermare la concordanza del verbo della subordinata di grado superiore al primo alla sua sovraordinata oppure far risalire la concordanza all principale come se fosse una sub di I grado).

c-Il congiuntivo quindi assume forme diverse a seconda che esprima uno dei seguenti rapporti di tempo rispetto al verbo cui si modella:
-anteriorità            se il verbo della subordinata esprime un'azione che viene prima di quello della reggente
-contemporaneità  se il verbo della subordinata esprime un'azione che viene assieme a quello della reggente                  
-posteriorità           se il verbo della subordinata esprime un'azione che viene dopo quello della reggente                                          
in quanto l'azione espressa nella subordinata può essere avvenuto prima, mentre, o dopo quello della reggente.

SUBORDINATA DI I GRADO

In relazione al rapporto di tempo, il verbo della subordinata di primo grado si modella su quello della principale reggente. Lo schema dei verbi è il seguente: 

 TEMPO DELLA SUBORDINATA

TEMPO DELLA PRINCIPALE
ANTERIORITA'  
CONTEMPORANEITA'

 POSTERIORITA'  
TEMPO PRINCIPALEcong. impf.

es. amare 
 cong.pres

es.amet 
 perifrastica attiva con cong. pres. di esse (sim)
es. amaturum sit
TEMPO STORICO cong. ppf

es. amaverit
cong.pf.

es.amavisse
 perifrastica attiva con cong. impf di esse (essem)


es. amaturum esse


Tips per ricordare
In pratica: la contemporaneità ha-----> presente                         tempo princ.
                                                   ----->imperfetto                       tempo stor.
                la anteriorità ha------------>perfetto                           tempo princ.
                                         ----------->piuccheperfetto               tempo stor.
                la posteriorità ha---------->gerundivo + sim                tempo princ.
                                           ---------->gerundivo + essem            tempo stor.

Messo così è facile da ricordare, no?
-In pratica immaginate una normale tabella verbale: in elenco ha in successione congiuntivo pres., impf, pf, ppf : sono i tempi esattamente corrispondenti in ordine alle coppie alternanti tempo principale/storico nei valori di contemporaneità/anteriotità
-la posteriorità usa i congiuntivi di tipo pres. e impf. (di essere) come la contemporaneità ma aggiunge il gerundivo.

Dove si trova usata questa consecutio temporum?
Con il:- CUM NARRATIVUM
          - con le subordinate interrogative
          - con le subordinate con quin
          - con le subordinate relative improprie
In tutte le subordinate che dovrebbero avere il tempo espresso al congiuntivo e sono di I grado.

SUBORDINATE DI II GRADO o SUPERIORE

Le subordinate di secondo grado o superiore sono quelle che, in rapporto gerarchico, dipendono non dalla principale reggente ma da altre subordinate. Il loro verbo è sempre al congiuntivo, regolato secondo le regole della consecutio temporum, ma il verbo in base a cui lo coniugano è diverso a seconda del modo della sovraordinata. 
Abbiamo due casistiche: 
-regola il verbo con la consecutio temporum sulla base del tempo della sovraordinata se quest'ultima ha il verbo al modo indicativo, congiuntivo, o infinito perfetto (in quest'ultimo caso ovviamente userà solo la consecutio dei tempi storici)
-regola il verbo con la consecutio temporum  sulla base del tempo della principale se il verbo della sovraordinata è all'infinito presente o futuro, un supino, un participio un gerundio o gerundivo. In questo caso la subordinata di grado II o maggiore si comporta come una subordinata di primo grado, considerando se la reggente ha un tempo principale o storico.

ATTRAZIONE MODALE

Si tratta di una particolarità del verbo di una subordinata, cui mi permetto di accennare sin d'ora sebbene ne riparleremo più diffusamente trattando dei casi in cui la regola dell'uso dell'indicativo in una subordinata è disatteso.
Il verbo di una subordinata, sebbene teoricamente dovrebbe essere all'indicativo, passa al congiuntivo, a volte, se la sua reggente è all'infinito o al congiuntivo. 
In pratica il verbo della subordinata di grado maggiore al I si "assimila" al congiuntivo che lo precede oppure, sentendo più forte il rapporto temporale con la principale che con la sovraordinata all'infinito, muta l'indicativo in congiuntivo dipendente.

lunedì 14 gennaio 2013

Persio

Aulo Persio Flacco nacque a Volterra nel 34 d.C. Di ricca famiglia equestre, studiò a Roma e fu allievo, come Lucano, di Anneo Cornuto, cui fu molto legato. Morì prematuramente nel 62 e fu Cornuto a pubblicare postume le sue opere, che ottennero successo.

Persio scrisse:
-6 satire
-un componimento in coliambi, trimetri giambici zoppi, in cui parla della sua poesia.

LE SATIRE
La prima satira è significativa per comprendere i suoi precetti di poetica. Persio si scaglia violentemente contro quoei prodotti culturali che andavano per la maggiore alla sua epoca, in particolare le recitationes. Denuncia che alla sua epoca prevale una poesia bassa ed effeminata, volgarmente edonistica e finalizzata solo all’intrattenimento, del tutto priva di spessore morale; lo stile è spesso aulico e prezioso, ma ciò non basta a colmare la vanità dei contenuti; anzi, la bella forma non è altro che una maschera per la totale vuotezza. A sostegno di tale tesi cita, deprecandoli, versi che i commentatori antichi attribuivabno a Nerone, paternità non suscettibile a ulteriore verifica, ma alcune fonti sembrano confermare che lo stile poetico dell’imperatore fosse in effetti improntato a tutti questi disvalori e abberrazioni della cultura moderna. Persio non accetta una poesia in cui la raffinatezza sia fine solo a se stessa (una soluzione opposta al precetto tardo ottocentesco di ”Art 4 Art’s sake”).

La poesia per Persio deve trattare del VERUM, concetto che lo avvicina molto a Lucilio e Orazio, nei quali egli ravvisa due modelli da imitare e la rappresentazione emblematica di due diversi atteggiamenti tipici della satira, nell’uno l’atteggiamento aggressivo del severo moralista, nell’altro na tendenza moralizzatrice più bonaria. Ed effettivamente egli ripropose anche diversi temi tipici della statira luciliana e oraziana nonchè moduli della satira tradizionale: l’epistola poetica e il componimento dedicato che sviluppa la sua argomentazione su una particolare tematica. In realtà però caratteristica dello stile di Persio è una trattazione non del tutto organica e sistematica, con trapassi improvvisi e bruschi, collegamenti sottointesi che il lettore deve ricostruire, immagini che sisusseguono con efficacia per affinità, con esempi, scenette, aneddoti, interventi di interlocutori fittizi che appaiono copiosi a aspezzare il ritmo, variarlo, complicarlo.

Come essi, inoltre, egli sceglie di utilizzare il SERMO, uno stile urbano, quindi, non elevato e aulico ma neppure sciatto. Il linguaggio adottato da Persio è però particolarissimo e inconfondibile: esso spazia ad ampio raggio dal linguaggio colloquiale, ricco di espressioni gergali e grecismi e lascia spazio al termine più volgare, al linguaggio preletterario con onomatopee e versi infantili. Inoltre appaiono molti neologismi, i quali sono una delle espressione più evidenti della tendenza di Persio a rimaneggiare gli strumenti lingiustici e la tradizione a essi connessa. Il procedimento principale che caratterizza la sua produzione è la IUNCTURA ACRIS che rimanda chiaramente ell’idea di Orazio di callida iunctura; è il poeta stesso a definirsi, all’inizio della satira 5° callidus iunctura acri. Esso consta nell’accostamento di termini in apparenza lontani per creare un’associazione imprevista, capace di stupire il lettore perchè mette in luce collegamenti impensabili secondo una fittissima trama di significati figurati che potenzia l’espressività della parola (una soluzione che molto ricordo la ricerca della letteratura barocca, volta a stupire e beravigliare il lettore e anche le corrispondenze che vengono messe in luce dal Decadentismo e che proseguono nella letteratura moderna) come la saliva Mercurialis, l’”acquolina di Mercurio” ossia l’acquolina dovuta all’avidità di gudagno. Pertanto, al di là dell’adesione al sermo, egli va oltre di esso, lo supera.

Ciò che più spesso diviene oggetto della satira è il costume, sono iMORES, qiundi la vita quotidiana e i comportamenti umani, da criticare in quanto corrotti. Per colpirli più a fondo utilizza l’INGENUUS LUSUS, lo scherzo non volgare, che sottolinea l’importanza dello spirito nella satira di Persio che si affianca all’impostazione moralistica.

2. La 2° satira tratta il tema della religione, il culto e le preghiere oneste, cui si affiancano preghiere empie e superstiziose che Persio condanna.

3. La 3° satira presenta una vicenda di sapore pariniano, in quanto offre un quadretto satirico della vita al contrario di un “giovin signore”, che non dedica il suo tempo allo studio ma al piacere e dorme fino a tardi al mattino per smaltire la sbornia della notte precedente. Persio sostiene l’importanza di un’educazione fondata su sani valori stoici. La seconda parte della satira tratta del male morale e presenta, con un certo gusto per il macabro e un carattere espressonistico tipico dell’epoca (cfr. già Seneca), il caso di un raffinato che muore di congestione al bagno pubblico senza rendersi conto del rischio che corre per la sua ingordigia.

4. La 4° satira presenta il motivo tipico del “conosci te stesso“: tutti sono prontissimi a criticare gli alti, ma ben pochi si volgono a conoscere se stessi. La corruzione è in una metafora da Persio somatizzata in una ferita coperta da una cinta d’oro che rappresenta l’ipocrisia che permette di avere una parvenza di onestà, apparenza che può ingannare glie estranei ma non la coscienza dell’individuo in realtà.

5. La 5° satira si apre con una sezione letteraria in cui Anneo Cornuto, il dedicatario, enuncia il precetto del poetacallidus iunctura acris. Persio elogia Cornuto per essergli stato amico e per il merito di aver insegnato ai giovani la folosofia stoica come a lui. Poi presenta l’idea di libertas come possibilità di vivere secondo ragione, per cui anche chi è giuridicamente libero può essere schiavo, perchè dominato dalle passioni, soprattutto avaritia e luxuria.

6. La 6° satira è un’epistola diretta ad un amico che permette a Persio di intridurre il tema della metriotes.

Fonte: OPERA, Giovanna Garbarino, Paravia

L'approccio alla traduzione- come tradurre

Come tradurre questa frase dal latino?

Questa è la domanda fatale, finale, fatidica, la domanda che a seconda della risposta corretta o sbagliata cui vi si trova può determinare la compromissione di una intera versione.
Un 21/12/2012 Maya, il terrore stile anno 1000, un'ecatombe della propria media in latino.
Detto ciò, una cosa è ovvia: se una frase non ci viene è perchè la stiamo analizzando nel modo sbagliato.

Come tradurre allora nel modo corretto?
Le strategie per approcciarsi alla traduzione non sono univoche, ognuno ha le sue preferenze soggettive, ed è giusto. Tuttavia esistono un paio di regolette, strategie e trucchetti che ci possono aiutare a non prendere fischi per fiaschi.

Tradurre dal latino presenta due difficoltà:
1- capire il messaggio che una frase ci vuole comunicare
2- passare il messaggio in un'altra lingua che verosimilmente avrà caratteristiche del tutto diverse.
Capire questo doppio passaggio non è scontato nè così immediato. Però è molto importante.
Anzitutto ci fa comprendere che non sempre fare la cosiddetta "traduzione letterale" è possibile, perchè un costrutto che rende significato in latino può non darlo in un'altra lingua, che deve adattarsi secondo le proprie modalità espressive logico-grammaticali (il più possibile però mantenendo inalterata in traduzione la struttura della frase di partenza; e da qua nasce il problema di quanto ci si possa staccare dalla traduzione letterale e sforare nella libera).
Seconda cosa, ci fa capire che prima vale la pena di comprendere che cosa i Romani ci volevano dire e solo dopo tradurre in italiano. Tentare di fare le due cose a tempo spesso è controproducente, addirittura fuorviante. Sbagliare nell'uno o nell'altro passaggio è ugualmente controproducente perchè o ci fa dare un senso che in latino non c'era -perchè si è frainteso o "suonava bene" oppure ci fa creare frasi in un italiano poco corretto.
Il motivo di ciò ce lo da il terzo e ultimo punto: la conoscenza della grammatica o meglio DELLE GRAMMATICHE, quella latina e quella italiana (o quella che preferite), infatti, è essenziale per l'analisi logica  ( che indica complementi, apposizioni, ecc), per l'analisi del periodo ( quella che individua principale, reggenti, subordinate,...) e grammaticale  (vi ricordate quelle cose tipo "Mangio: prima persona singolare del verbo mangiare, indicativo presente attivo"; oppure "casa: nome comune di cosa, femminile singolare") che stanno alla base della lingua stessa come mattoni relazionali costitutivi; sapere termini tecnici e definizioni + buona cosa all'interno di una lingua ma queste nozioni diventano tanto più importanti all'atto della conversione da lingue dove due strutture più o meno diverse sono messe a confronto. Per la traduzione latino-italiano siamo facilitati perchè, per ovvie ragioni, essendo l'italiano tutto sommato una evoluzione del latino, le due lingue hanno struttura funzionale simile (simili complementi, simili subordinate, ecc). Per questo è possibile comparare pressocchè direttamente le due analisi logiche e grammaticali e rispondere a domande come "Come si esprime il complemento di fine in latino?" Certo se non si sa che cos'è un complemento di fine e addirittura che in italiano esiste con tutta una sua casistica espressiva....non ci sono mezzi termini: non si può tradurre dal latino. Sennò magari si identifica che quello strano costrutto è ciò che corrisponde al mirabolante nome di -che ne so- subordinata concessiva, ma in italiano non si sa come renderla in analogo. E' importante insomma conoscere la grammatica della lingua di partenza ma anche-se non soprattutto- quella d'arrivo.
Quindi, all'atto dello studio, prima è bene imparare come una determinata parte del discorso si chiama e si esprime in italiano, poi aggiungere a questa nozione il nome della corrispondente funzione in latino e come essa si esprima. In teoria i professori di italiano dovrebbero insegnarci sin dalle elementari elementi di analisi logica e grammaticale italiana, ma noto con dispiacere che soprattutto di recente queste cose sono state insegnate  -se sono state insegnate- male e con un approccio del tutto mnemonico. Avere ben chiaro come si costruisce la sintassi di una frase (questo è il nome tecnico delle relazioni tra parole), invece, è fondamentale per poter dire di saper usare la propria lingua. Facendo ciò si verrà a creare in automatico una rete relazionale tra le due lingue che vi permetterà di ricondurre facilmente un modo di esprimersi all'altro, della serie accusaivo semplice=complemento oggetto (di base). Solo sapendo la lingua propria di partenza (che è verosimilmente quella in cui si traduce) si può capire bene il latino. Capite che se un italiano dovesse tradurre latino in inglese probabilmente sarebbe costretto alla doppia conversione latino->italiano->inglese se non avesse a disposizione le cosiddette categorie grammaticali per conversioni quasi immediate.
E secondariamente, fidatevi: un minimo di bagaglio nozionistico sui tecnicismi spesso aiuta a ridurre di un decimo le definizioni di certe regole grammaticali. Sembra assurdo e difficile dover imparare normi astrusi, inutile alla lunga perchè si tratta solo di dare semplici etichette a concetti che si sanno riconoscere nella loro applicazione. Ma capite che tra ricordare una regola come "I tempi storici usano una consecutio temporum con congiuntivo pf., ppf,  parifrastica attiva + essem"  e ricordare "la consecutio teporum con pf., ppf,  parifrastica attiva + essem si ha in dipendenza una reggente all'indicativo impf., pf., ppf.,..." è molto più facile la prima:  basta una espressione, "tempi storici" per ridurre notevolmente gli elenchi di una regola, ad esempio.
Quindi il primo passo per tradurre il latino parte ancora prima che dal foglio con la versione: parte dallo studio, che deve essere sistematico e contare sulla perfetta conoscenza dell'apparato strutturale delle due lingue di interesse.

Che poi a loro volta le modalità espressive della lingua latina in merito a quella determinata categoria vadano sapute è certo: se so cosa è un complemento di fine ma mi ricordo solo un modo su 5 di esprimerlo sono fritta/o perchè nel 99% dei casi il testo latino avrà proprio l'espressione che non ci ricordiamo XD. Certe cose ce le può dire anche il dizionario, è vero (tipo i costrutti verbali, ovverosia che casi regge un verbo) ma esso non ci può dire tutto e certamente non ci dice come si costruisce l'analisi logica di TUTTA UNA FRASE INTERA ( A meno che il dizionario non ti traduca esattamente quel pezzo di versione che hai davanti; e lì è culo! XD) oppure quali sono tutti i modi per esprimere, ad esempio, il complemento e d'età...e se non li ricordiamo tutti magari, proprio quando ci  compare davanti, non siamo in grado di riconoscerlo.

Tutto ciò ci spiega anche che il dizionario è solo uno strumento e come tale va usato, non come se solo con esso a fianco fosse possibile capire il latino. La mia prof ci parlava spesso della ansia da dizionario: si tratta di quella patologia che porta allo scartabellare febbrile tra le pagine dell'IL (o di qualunque dizionario latino) che comincia sin da subito non appena ci si trova il foglio della versione davanti.
STRATEGIA SBAGLIATA!
E per dimostrarcelo la professoressa al liceo ci obbligava a tradurre un'ora senza dizionario e solo dopo potevamo usarlo. Inutile sadismo? No. Come era possibile che riuscissimo? In base a quello che dicevo prima: anzitutto dobbiamo capire come si monta la frase in latino, poi capire che vuol dire e solo dopo tradurre.

Ma se non si conoscono le parole, direte, come si fa a capire quali elementi si accordano? Qua casca l'asino e si capisce che la maggior parte delle volte sbagliamo a tradurre proprio per via dell'approccio al testo.
La spiegazione è semplice: spesso ci dimentichiamo che il latino non è altro che una lingua, non una serie di codici astrusi che necessitano di calcoli logaritmici di decrittazione.
La prima cosa dunque è RAGIONARE. Sembra una sciocchezza, ma quel frusciare terrorizzato è il primo sintomo che si sta agendo meccanicamente senza far girare le rotelline del cervello.
Ragionare non vuol dire raccattare pezzi di puzzle di diverso significato (le parole) sul dizionario (molto spesso peraltro dopo aver individuato pressocchè a caso il vocabolo perchè non ci si era manco dati peso di decidere se cercare un verbo o un nome) e unirli a caso, a volte confondendo le categorie grammaticali (aggettivo, sostantivo, predicato) o attaccando aggettivi a nomi solo "perchè a senso ci stanno bene". Se fosse sufficiente tradurre parola per parola e fare un collage a senso basterebbe trovare tutti i significati delle parole latine per poter tradurre correttamente.
Sarebbe bello (forse) ma non è così che funzionano le cose: è sulla base dell'accordo grammaticale che si costruisce la frase ma l'accordo grammaticale a volte esula dalla concordanza dei significati più comuni.
 Quello che bisogna fare quindi  è eseguire l'analisi grammaticale delle singole parole per poi passare alla analisi logica di esse, sino a costruire la struttura del periodo attraverso l'accordo grammaticale degli elementi e il riconoscimento delle funzioni di significato dei singoli blocchi.

E per tradurre senza dizionario cartaceo non serve averne uno completo in testa. Non è una cosa fattibile, anzitutto: nessuno ha un cervello così potente da avere un intero dizionario e soprattutto mai nessun dizionario sarà così completo da potervi dare tutto il range di significati che una parola può assumere, perchè la lingua si adatta ai contesti e muta il significato di una parola per esprimere di volta in volta concetti sempre leggermente diversi. Ora non sto dicendo che il dizionario non serva, sto dicendo che serve solo dopo Sfatiamo quindi un mito: non serve avere un dizionario in testa per analizzare il latino; il latino grazie alle sue desinenze rende facile riconoscere un verbo da un sostantivo, da una congiunzione o un avverbio e può permettervi di cosa inequivocabilmente va con questo o quell'elemento. Il dizionario vi servirà solo per le radici, molte delle quali è ovvio non le conoscerete ( ma notate, molte sì: se dopo due anni di latino ancora non sapete almeno un significato di un verbo come puto la situazione è grave). Quello che dovete fare quindi è imparare ad analizzare una frase sulla base delle informazioni grammaticali che le diverse parole vi danno e solo dopo costruire il senso compiuto di esse. Se fate il contrario, finirete per accordare le cose a senso, ignorando bellamente gli indizi grammaticali che il latino vi mette a disposizione per capire davvero il contenuto, ossia i casi e le terminazioni di coniugazione verbale. E' questo senso grammaticale la cosa che per prima va ricostruito per capire chi va con cosa...e in ultima battuta quale sia il significato di quella unione

Di fronte al foglio la prima cosa da fare dunque è leggere il testo tutto per intero. Magari non ci capirete nulla di quello che c'è scritto, ma intanto comincerete a inquadrare le parole più comuni, che caso hanno, cosa è verbo e cosa è aggettivo, già individuerete quei vocaboli che mai in vita vostra avete sentito (abbozzerete una analisi grammaticale quindi); e magari nel vostro cervello già cominceranno a formarsi ipotesi di concordanze, rapporti di subordinazioni-coordinazione e pause interne alla frase (che è per l'appunto l'analisi logica e del periodo). Sembra superfluo visto che ci ragionerete dopo, ma non lo è. Anzi, col tempo imparerete che la prima lettura è fondamentale per inquadrare il brano, la sua difficoltà e soprattutto i punti in cui prevedere bisognerà fare parecchia attenzione.Quindi dopo aver letto tutto una o due volte e aver fatto i primi ragionamenti, che poi sono naturali per il cervello, alla lettura, anche  molto alla veloce, possiamo passare  all'analisi frase per frase con i criteri suddetti di analisi grammaticale-logica-del periodo.

-Individuiamo anzitutto i verbi e le congiunzioni, il primo passo per stabilire coordinate e subordinate.
-Dei verbi tentiamo di capire quali sono nelle principali, poi in base alle congiunzioni soprattutto individuiamo subordinate e coordinate.
-Fatto ciò passiamo a definire il limite delle proposizioni e dire quali complementi stanno con ciascun verbo.
-Per ciascun complemento vediamo  di capire da che categorie grammaticali è costituito, se è costituito da un nome, o da un verbo/aggettivo in funzione nominale, se ha attributi o apposizioni.

Possiamo disegnare queste relazioni con uno schema ad albero come quelli che sicuramente a tutti hanno fatto fare pe l'analisi del periodo in italiano. Quello che otterremo è un disegno della nostra frase che ci permetterà di tradurre senza fare confusione e con maggiore semplicità, con la certezza di avere  valutato attentamente ogni elemento.

Sembra tempo sprecato: in realtà non è così. Questo è il ragionamento da fare per ogni frase, semplice o complessa. Il meccanismo dovrebbe entrare in voi con la pratica e laiutarvi a creare questa mappa anche solo mentalmente. Dovreste a questo punto trovarvi ad avere analizzato così bene da limitarvi a usare il dizionario per controllare le vostre ipotesi e dare -finalmente- senso fattivo alla frase in teoria costruita. Quella sarà la riprova: se il senso che uscirà accostando i significati vi smentirà, avrete la quasi certezza che qualcosa nella analisi è sbagliata, ma il sistema ad albero vi renderò più facile individuare le possibili soluzioni alternative. Ecco cosa significano frasi come "il latino è l'unica operazione veramente matematica che i giovani eseguono a scuola"; tradotto così, in effetti, il latino è una precisa applicazione del metodo galileiano.Però attenzione: a volte l'analisi che facciamo è giusta e solo il senso ci sfugge, quindi attenzione a non correggere cose giuste ma un po' oscure solo per dargli "maggior senso".


Molti mi potrebbero dire: ma scusa, se alla fine quello che facciamo è vedere se quello che abbiamo ricostruito ci dà senso, non facciamo prima a combinare da subito i significati del dizionario? Da tutto ciò che ho detto dovrebbe essere chiaro che non è così, perchè montare a senso una frase molto spesso vuol dire fraintendere i collegamenti del testo...e quindi sì, si scrivono frasi con un significato, che non c'entra nulla con il senso originale del testo. Chi traduce così finisce per scriver belle storielle e belle frasi che inventa lui perchè l'autore aveva scritto tutt'altro.

Certamente poi lo sappiamo bene, due traduzioni posso essere corrette entrambe ma una molto più bella dell'altra. Quella è però una questione di stile, di eleganza del tradurre, di una migliore proprietà nell'usare le parole e nel rendere il senso che il testo in lingua voleva trasmettere. Purtroppo queste sono caratteristiche che si acquisiscono solo col tempo e con la pratica, nonchè con una buona dose di innata sensibilità e predisposizione personale. Ma tradurre correttamente questo lo possono fare tutti, perchè si tratta di un mero gioco di meccanica applicata tramite ragionamento. Questo sito non vuole insegnarvi l'impossibile-sebbene qualche dritta cercherò di darvela anche in questo senso- ma fidatevi che anche uno schiavo senza cultura avrebbe potuto costruire la frase di un Cicerone che parlava di filosofia. Magari non avrebbe capito un h del senso, ma intanto avrebbe unito i complementi nella giusta maniera. Esattamente come io non capirei nulla se un fisico mi parlasse di quanti e particelle, ma almeno saprei capire cosa in quella frase era il soggetto, il verbo, il complemento oggetto,...Questo è il requisito base per prendere un bel 6: capire la struttura dei periodi. Il contenuto purtroppo si può sempre fraintendere e può farlo anche uno che prende 10...o altrimenti tradurre sarebbe cosa immediata. Senso della struttura e senso delle parole stanno su due piani diversi: sintassi e semantica lessicale.

Voglio dirvi questo in conclusione: che il latino per quanto assurdo vi possa sembrare era una lingua davvero parlata. E per quanto scrivere non è mai come parlare (neanche in italiano e così vale per il latino, perchè nello scrivere si è più arzigogolati e pomposi)  la lingua dei romani non è più complessa o difficile di altre, è solo un differente sistema per esprimersi. Analfabeti e persone alfabetizzate si capivano senza che gli analfabeti manco sapessero cosa fosse il complemento oggetto! E vi sorprenderà sapere che alla definizione di tutti i concetti grammaticali gli studiosi di lingua ci sono arrivati ben dopo i primi parlanti...Noi non possiamo imparare così semplicemente per un semplice motivo: loro avevano 24/24 per capire che l'infinito di sum è esse e non sumere  esattamente come voi avete avuto la vostra infanzia per capire che l'infinito di "vado" è "andare" non "vadare" o che so io. Ma una volta compreso il meccanismo del latino è un gioco davvero da...analfabeti! Quindi: come ce l'hanno fatta gli antichi, ce la farete anche voi ad imparare. E vedrete che col tempo, addirittura, forse sarà proprio la lettura fatta da voi a darvi la prima indicazione su come procedere per analizzare. Inoltre ricordate una cosa: in base a come leggete il latino, a dove mettete le pause e gli accenti, chi vi ascolta e sa il latino già comprende se voi alla lettura state capendo quello che state leggendo.

Che dire dunque: buona lettura e buona traduzione.
Valete!